Da bambini, ci viene naturale chiederlo. In continuazione. Fino alla sfinimento. Poi, col tempo, qualcosa cambia. La domanda ci fa paura, perché ci fa paura la risposta. La domanda che cambia tutto è proprio: perché?
Prima o poi, arriva per tutti la fatidica domanda. Che COSA farai da grande? Che COSA vuoi fare della tua vita? Questo dardo velenoso viene scoccato più o meno verso la fine della scuola media, quando ti viene chiesto, per la prima volta, di fare una scelta importante per il futuro. Peccato che non solo non siamo pronti a prendere una decisione minimamente sensata, ma non ci viene chiesta la cosa fondamentale. Perché? Perché lo vuoi fare (sciocco, aggiungerei)?Sembra una banalità, ma conoscere il VERO perché di una decisione può fare la differenza.
Mettiamo, molto ipoteticamente, che io voglia diventare un cuoco. Bene, allora mi iscriverò alla scuola alberghiera, farò dei corsi di cucina, eccetera, eccetera. Ma cosa succede se non trovo uno straccio di lavoro e, per qualunque motivo, mi ritrovo a sciacquare i piatti?
Verrò considerato un fallito. Ma se, prima ancora di partire, mi fossi posto una domanda diversa? Se mi fossi chiesto cosa mi spingesse DAVVERO a scegliere il mestiere del cuoco? Allora potrei scoprire che, in realtà, non mi interessa granché diventare uno chef stellato. Quello che mi preme di più, magari, è far passare dei momenti piacevoli alle persone con del buon cibo. Più in generale, quindi, la mia motivazione potrebbe essere quella di procurare piacere agli altri (in senso culinario, eh?).
Messa in questi termini, la prospettiva cambia radicalmente. Se non mi interessa più il COSA, ma mi concentro sulle RAGIONI per cui lo faccio, sui VALORI che mi guidano verso una determinata direzione, ecco che le opportunità si moltiplicano. Ok, non diventerò mai come Cracco, ma potrei dedicarmi al catering, potrei scrivere per un blog di ricette, potrei fare del volontariato alla mensa dei poveri, potrei aprire una rosticceria, eccetera, eccetera. Diventare cuoco è la conseguenza, anzi, una delle tante conseguenze possibili, di un disegno più ampio e più alto.
Simon Sinek, nel suo libro bestseller “Start with why” (tradotto in Italia con il titolo “Partire dal perché”), oltre a farci sapere come ami particolarmente i computer della Apple e le Harley Davidson, vuole dirci proprio questo. Parti prima dal perché, e poi soltanto dopo costruisci il COSA e il COME. Il PERCHE’ può essere visto come una bussola in grado di guidare le nostre scelte, evitando di impantanarci in quello che siamo o crediamo di essere.
Secondo lui, la potenza del “perché” affonda le radici direttamente nella psicologia umana. Infatti, la maggior parte delle scelte che facciamo non sono affatto razionali come potremmo credere, ma influenzate in larga misura dal sistema limbico, cioè la parte più primitiva del nostro cervello. Piccolo problema: questa regione cerebrale non ha linguaggio, non ha cioè alcun modo di esprimersi a parole.
Ecco allora che interviene la parte più evoluta della nostra mente, la cosiddetta neocorteccia. Il suo compito? Fornire una giustificazione razionale a comportamenti che razionali non sono.
Quando cerchiamo un partner, quando andiamo a fare shopping, quando votiamo per un partito, molto difficilmente ci lasceremo guidare dal pensiero analitico. Sarà tutta una questione di emozioni: magari non so esprimere bene il motivo preciso, ma mi sento attratto da questa persona, da questo leader politico, da questo oggetto irresistibile.
Stando al modello “Golden Circle” illustrato dal buon Simon, il PERCHE’ comunica direttamente con la parte più istintiva dell’essere umano, mentre il COSA e il COME con quella più logica/analitica. Se riesco a comunicare quindi il lato più profondo e autentico di me stesso, della mia azienda o del mio prodotto, quello in cui credo davvero, sarò anche capace di ispirare gli altri e magari trasformarli, come ha fatto Apple, in fedeli seguaci.
Se mi limito invece al cosa faccio e come lo faccio, non avrò la possibilità di distinguermi e dovrò ricorrere a mezzi un po’ più manipolativi, magari efficaci nel breve termine, ma deleteri in un orizzonte di più ampio respiro. Per esempio, se ho un negozio o un’azienda, sarò costretto a concedere sconti e promozioni vantaggiose per vendere di più, rinunciando però a un margine di guadagno più alto. Sarò costretto a strillare o inventarmi campagne pubblicitarie sopra le righe per farmi ascoltare. Risultato? Più stress, più fatica e meno guadagni, meno risultati.
Dall’analisi dell’autore, quindi, emerge come le aziende di maggior successo abbiano o abbiano avuto un vero leader in grado di ispirare i propri collaboratori e i propri clienti, rendendoli più fedeli nel tempo, ma anche manager abili nel trasformare questa “visione” in strategie di business e modelli organizzativi efficienti.
Il COSA e il COME sono certamente importanti, ma dovrebbero essere il riflesso di una missione più grande che guida e orienta ogni mia scelta e ogni mio comportamento. Spesso, vediamo nei siti delle aziende una paginetta chiamata “MISSION” farcita di banalità colossali o frasi pompose dalla prima all’ultima riga. Brutto segnale. Significa che l’azienda non ha riflettuto a sufficienza sulla propria ragione di esistere. Non è capace, o ha paura, di trovare una propria identità.
Questo significa che dovrà rincorrere i propri clienti. Che dovrà sedurli e manipolarli in continuazione per avere la loro fiducia. I suoi dipendenti non avranno un vero scopo che li tiene motivati e non daranno il massimo. Alla prima scossa del mercato, alla prima crisi, i dirigenti si ritroveranno disorientati e in balia degli eventi.
Riflettere sui propri perché, in conclusione, è un esercizio tosto. Che pochissimi vogliono fare. Ma se hai una bussola che funziona e ti indica la rotta, come Capitan Jack Sparrow nel film “Il pirata dei caraibi”, allora puoi finalmente salire sulla nave, radunare la ciurma e dispiegare le vele.