Perché riusciamo a ricordarci soltanto una microscopica parte di quello che leggiamo? Perché, talvolta, non rimane proprio niente? I casi sono due: o la nostra mente è un colabrodo, oppure la colpa è proprio dei libri.
Anche tu leggi moltissimo fino a farti venire l’indigestione, ma poi non ti ricordi mai un beato piffero? Al punto che, talvolta, non ti sovviene nemmeno autore e/o titolo del libro?Magari, mentre sei impegnato in una conversazione altolocata, all’improvviso ti viene in mente qualcosa che hai letto, qualcosa che potrebbe farti fare un figurone, ma poi rimani fermo come un baccalà?
Infatti, di tutta quella carrellata di parole che ti scorrevano sotto il naso, te ne è rimasta in testa sì e no una manciata. Dettagli importanti che avevi colto, passaggi chiave che pensavi di avere compreso a menadito, sono scappati via in massa dalla tua memoria.
Siamo in due allora, e non ci resta che affrontare la dura realtà: tutto quello che leggiamo con tanto impegno, se non decidiamo di ripassarlo come la polvere sui mobili, andrà inesorabilmente perduto. ☹
Prendiamo per esempio il romanzo di Philip Roth, Pastorale Americana. Ritengo che sia il migliore libro di narrativa che mi sia capitato tra le mani, eppure in questo preciso istante non solo non riuscirei a rievocare un seppur minimo dettaglio della vicenda, dell’ambientazione o dei personaggi, ma non saprei nemmeno ricostruire i piloni portanti della trama o dire più o meno vagamente di che cosa parla.
Certo, sono trascorse parecchie primavere da quanto l’ho letto e la scatola cranica, nel frattempo, si è riempita di tutt’altro. In fondo è stata un’esperienza piacevole, appagante, dove ho avuto modo di arricchire il mio vocabolario e ricevere numerosi spunti a livello stilistico e narrativo.
Insomma, è stato tempo ben speso.
Leggere aiuta a formarci delle opinioni un po’ su tutto, ci fa imparare cose nuove e ci permette di avere una visione più ampia e sfaccettata del mondo. Ma questa cosa qui del non ricordarsi una mazza dei libri letti, soprattutto quelli importanti, mi manda proprio in bestia, a te no? 😊
E non parliamo solo di libri, eh?
Anche quando ascoltiamo un podcast o ci capita di seguire una lezione dal vivo, cadiamo sempre nello stesso trabocchetto. Come attenti funamboli, ci illudiamo che tutto fili via liscio. Magari ci sentiamo particolarmente partecipi e coinvolti, magari abbiamo l’impressione che le parole e le frasi vengano scolpite a poco a poco in modo cristallino, e duraturo, nella nostra memoria.
Poi, qualcosa cambia. A meno che tu non sia un prodigio, i ricordi iniziano a perdersi nella nebbia, le parole lette e (in apparenza) immagazzinate iniziano a diventare sempre più confuse.
Già, perché ci è così difficile assorbire in profondità informazioni e concetti su cui investiamo tanto tempo e fatica? Sono i nostri cervellini ad avere una capienza limitata? Sono i nostri stessi cervellini a fare pulizia ogni giorno buttando via tutte le cianfrusaglie che non servono? Oppure tutto rimane sepolto da qualche parte, in attesa di risalire in superficie?
Come dice lo zio Monty nel suo video “Leggere fa tutta la differenza del mondo”, leggere libri e accumulare conoscenza non è solo roba da secchioni, ma può diventare un vantaggio competitivo di notevole importanza nel mercato di oggi. Anche se il punto qui non è leggere tanto, ma SAPERE TANTO. Riuscire cioè a sfruttare le nostre letture per avere anche un beneficio concreto e spendibile nella vita di tutti i giorni.
Già, e se non fosse proprio tutta colpa nostra, ma anche dei libri stessi?
I libri sono delle invenzioni geniali, non possiamo negarlo. In uno spazio limitato di poche pagine, riescono a custodire un vero patrimonio di sapere che può essere tramandato di persona in persona, di generazione in generazione. Ma chi ci garantisce che questo sia il metodo più efficace in assoluto?
Pensiamoci un attimo. Il libro, come qualunque testo scritto (compreso questo, by the way), funziona in modo lineare. Sono obbligato a seguire una traccia stabilita dall’autore, mi devo adeguare al suo linguaggio, alle sue scelte di stile e contenuto. Non posso fare domande e, se non mi è chiaro qualche passaggio, avrò delle lacune mostruose che mi porterò dietro fino alla fine. Il nostro cervello, però, non funziona in modo altrettanto schematico. Si tratta di una rete intricata e complessa dove emozioni, ricordi e apprendimenti sono avviluppati tra loro come in una grande ragnatela.
Ecco il punto.
Il libro, così come gli altri mezzi di comunicazione che prevedono l’interazione tra un mittente attivo e un destinatario tendenzialmente passivo, per il modo in cui sono strutturati, per il modo in cui li facciamo funzionare, non collimano affatto con la nostra architettura cerebrale.
In un precedente articolo, abbiamo visto come sia possibile leggere in modo radicalmente diverso, anche se più faticoso, per rendere il processo di studio e di lettura più consapevole e di gran lunga più produttivo. E appunto qui sta la chiave: fare un passo in più. Non limitarsi ad andare da A a B, non limitarsi a trangugiare una pagina dopo l’altra senza un metodo, senza un percorso, senza uno scopo. Ma diventare protagonisti della lettura e della fruizione per conciliare quantità e qualità delle informazioni che apprendiamo ogni giorno.
Non è certo una passeggiata, ma anche gli autori sono chiamati a contribuire, rivedendo i propri metodi di scrittura e produzione dei contenuti, inventandone di nuovi, facendo in modo che la lettura resti sì un piacere, ma non effimero. Facendo in modo che tutto il lavoro di scrittura non vada disperso, ma possa raggiungere il cuore e la mente del lettore anche a lungo termine.
Come possiamo fare? Così su due piedi non ho la risposta pronta, mi dispiace. E non posso nemmeno sfoggiare un paio di trucchetti come il mago Silvan. Posso dire che di strada ne abbiamo fatta, e ancora ne abbiamo da percorrere. Bisogna “solo” trovare il coraggio di sperimentare, non dare nulla per scontato e cambiare qualcosa qua e là.
Per chi ama leggere e per chi ama scrivere, potrebbe essere l’inizio di una nuova avventura.
Fonte illuminante:
Andy Matuschak, “Why books don’t work”
Ciao Gianluca, ti garantisco che siamo almeno in due! Per chi ama leggere, informarsi, migliorarsi (o sperare di farlo), è davvero avvilente non ricordarsi, anche a breve distanza di tempo, nulla o quasi. Restano le sensazioni ma del contenuto non c’è traccia. A me capita anche con i film, sono capace di rivederlo tutto e accorgermi solo alla fine che, forse, l’avevo già visto. Le tue considerazioni mi sollevano un pò, forse non è tutta colpa della mia mente colabrodo.. però se penso che non ricorso neanche la mia tesi di laurea, che era pure sperimentale, la mia situazione appare più critica.
Non è solo una sensazione, ma gli altri ricordano di più: libri, film, eventi passati, incontri, conferenze e così via. Hanno qualche segreto che non svelano? Forse inconsciamente ripensano spesso a tutto ciò che fanno e così ne mantengono vivo il ricordo.. non saprei. Di sicuro hai trovato qualcuno che ricorda meno di te 😉
Davvero carini i tuoi post, complimenti. Ciao
Grazie Cristina 🙂
Attribuisco la cosa anche all’ingordigia, cioè alla voglia irrefrenabile di leggere tante cose di corsa, senza dare il tempo sufficiente per assimilarle e farle mie. In generale, comunque, il ricordo permane se le informazioni e i concetti appresi diventano parte attiva delle nostre azioni quotidiane. Altrimenti, il nostro cervello dovrà fare le pulizie di primavera.