Se fossi così facile, se bastasse davvero prendere dei semi e piantarli, saremo tutti degli abilissimi raccoglitori e vivremmo nell’abbondanza. Invece, affinché dalla terra spunti qualcosa, bisogna anche prendersi cura di quello che stiamo coltivando.
Ma non è quel “prendersi cura” a cui l’esasperante vita moderna ci ha ormai abituato. È un prendersi cura che strizza l’occhio alla presenza, alla costanza, è un prendersi cura che richiede anche piccole azioni, piccole attenzioni, da distillare ogni giorno, senza l’ansia del risultato finale.
Non conta né quanto tempo, né quanto sforzo ci dedichiamo, ma si tratta di trovare quella sorta di equilibro, quella sorta di tocco amorevole, né troppo soffocante, né troppo blando, affinché le cose prendano il giusto ritmo.
Allo stesso modo, chi coltiva le proprie passioni, i propri progetti, sa che ci vuole pazienza. Sa bene che i frutti potrebbero arrivare, così come non arrivare, ma quelle cure sono comunque necessarie e devono essere continue, perché se passa troppo tempo, se lasciamo che passi troppo tempo, i frutti del nostro lavoro potrebbero appassire e, con loro, probabilmente, anche noi.
Quante volte, come molti, mi sono illuso di ottenere qualcosa soltanto buttando lì dei semi, come magari prendere una laurea o frequentare un nuovo corso di formazione, redigere un curriculum o mettersi lì ad abbellire il profilo social del momento.
Saranno pure dei passaggi fondamentali, ma non bastano.
Perché ogni cosa richiede che qualcuno se ne prenda cura, quel tanto che serve, né troppo, né troppo poco, dando tempo al tempo, affinché quella cosa possa crescere e prosperare. Con la consapevolezza, sempre, che basta una sfuriata di vento o un capriccio del destino affinché i semi piantati e annaffiati con tanta cura vengano spazzati via.
Chissà come si sente un contadino che, un bel giorno, ritorna a casa con le mani vuote.