Anche se la scarsità, come ci insegna il buon Cialdini, è una delle leve persuasive più potenti, chi vende qualcosa ha spesso la convinzione di dover mostrare l’abbondanza della propria offerta. Di dover presentare ai potenziali clienti una vasta possibilità di scelta. Al punto tale che, quando fai capolino in un supermercato, ma anche in una più modesta panetteria, ti domandi chi riuscirà mai a comprare, e soprattutto consumare, una così pantagruelica esposizione di vivande e leccornie.
Già, perché i soldi che tiriamo fuori da portafogli e carte di credito, al contrario, sono tremendamente SCARSI. E anche ammettendo, per assurdo, di avere le disponibilità economiche di Jeff Bezos, il nostro stomaco può essere riempito fino a un certo punto. E anche i nostri armadi e le nostre stanze, a furia di assorbire ondate di consumismo forsennato, prima o poi, scoppierebbero.
Non so tu, ma tutta questa abbondanza che vedo in giro mi spaventa assai. Quando metto piede in un centro commerciale, le mie gambe iniziano a tremare e il cuore ad agitarsi senza motivo apparente. Quando giro tra gli scaffali di un gigantesco supermarket, mi piange il cuore all’idea di quanto cibo verrà sprecato (e infatti le statistiche ci dicono che un terzo del cibo prodotto a livello mondiale finisce per essere buttato via, by the way). Passeggiando tra gli stand di una fiera o di un mercatino, mi sento in colpa ogni volta che incrocio gli sguardi imploranti di chi sta dall’altra parte e tiro dritto senza dare loro nemmeno una chance.
Per non parlare delle librerie, quelle abnormi montagne di carta profumata che reclamano la tua attenzione, come se il tempo fosse infinito, e gli occhi per leggere non conoscessero mai stanchezza. E per non parlare dei negozi online, dove non c’è neppure il limite fisico di una vetrina o di uno scaffale o di un carrello da stipare fino all’inverosimile.
Così, ogni volta che devo decidere cosa comprare, in una qualsiasi di queste circostanze, mi sento travolgere dall’abbondanza. O meglio, da questa tremenda illusione che ci ostiniamo a chiamare abbondanza. E, ogni volta, puntualmente, mi domando dove e quando abbiamo perso quel punto di equilibrio (ammesso che sia mai esistito) tra ciò di cui abbiamo bisogno, ciò che desideriamo e ciò che possiamo veramente permetterci.
Forse, un tempo, vedere i negozi pieni, i sacchetti gonfi e gli sguardi appagati delle persone poteva darmi un senso di sicurezza. Come a dire: ce n’è per tutti, e anche di più.
Oggi, è evidente, ho bisogno di ben altre rassicurazioni. Ho bisogno di sapere, per esempio, che fine farà ogni singolo grammo di quel cibo, oppure quale sarà il destino di tutti quei giocattolini tecnologici rimasti invenduti a prendere polvere in un magazzino.
Magari è solo un problema mio, ma col tempo mi sono costruito un’idea alternativa di abbondanza, più simile alla ricchezza che alla bulimia, o all’ostentazione. Un’idea di abbondanza che mi insegni a dire BASTA. E che non mi faccia sentire costantemente, e inesorabilmente, insoddisfatto.
Non ha contorni ben precisi, non ancora, ma ci sto lavorando.
Nel frattempo, mi domando fino a quale punto questa cosa qui non inizierà a far seriamente paura a molte più persone, ad apparire davvero per quello che è. Una pura, copiosa e ammaliante follia.
Immagini generate con Leonardo Ai