Può darsi che qualcuno lo faccia per passione, per carità, qualcuno magari per mania di protagonismo, ma la maggior parte dei professionisti e delle aziende che “regalano” contenuti sta adottando una strategia ben precisa e collaudata: il content marketing.
Che cos’è il content marketing?
La strategia è semplice ed efficace, anche se non immediata nei risultati. Consiste nel pubblicare regolarmente dei contenuti che possano essere utili e interessanti ai miei potenziali clienti, magari con un blog, una newsletter o un canale social, e prima o poi, a lungo termine, verrò ripagato in termini di visibilità e di contatti. Il bello del content marketing è la sua democraticità. Chi non ha grandi budget può investire il proprio tempo nella produzione e nella condivisione di contenuti, magari anche di nicchia, e farsi conoscere in giro senza dissanguarsi troppo finanziariamente. Altro enorme vantaggio è quello di poter avvicinare e corteggiare i potenziali clienti senza ricorrere a tecniche troppo aggressive e poco sofisticate, come i telemarketing o il volantinaggio.
Avrai già immaginato il limite di questa strategia. Ebbene sì, la possono usare tutti, e infatti la usano. Il risultato è lì davanti ai nostri occhi: il web sta esplodendo. Difficile fare una stima, ma è probabile che la quantità di contenuti in circolazione possa più che raddoppiare ogni anno, mentre le nostre giornate, da quanto mi risulta, restano sempre di 24 ore. C’è troppa roba, anche di qualità, e oggi le aziende devono farsi letteralmente la guerra non solo per alleggerire il portafoglio degli ignari consumatori, ma anche per conquistare fette del loro prezioso tempo.
Il paradosso dei social network, in questo senso, è lampante. Uno si mette lì a imbellettare la propria pagina Facebook per farsi pubblicità a costo zero e poi scopre, dopo una manciata di post visti di sfuggita dai soliti quattro gatti, che così non si va avanti. Bisogna investire dei soldi in campagne pubblicitarie più ambiziose se si vuole crescere e attirare l’attenzione di nuovo potenziale pubblico. Ma come? Volevo fare pubblicità alla mia azienda e mi ritrovo a fare pubblicità alla mia “paginetta”? E chi mi dice che il popolo di Facebook (o Instagram o YouTube, o quello che vuoi) si fiderà dei miei annunci e comprerà qualcosa da me?
È tutta una questione di domanda e offerta
Come viene spiegato sapientemente in questo articolo di Mark Schaefer, il content marketing sta diventando un’arma spuntata, a disposizione di pochi, perché l’offerta di contenuti sta superando, e di parecchio, la domanda da parte degli utenti. Quando l’offerta aumenta più della domanda, il prezzo scende: peccato che qui il prezzo è già ZERO perché i contenuti vengono dati via gratuitamente.
Non è finita. Adesso sono io, produttore di contenuti, che devo tirare fuori del grano per far sì che qualcuno si accorga dei miei contenuti. Quegli stessi contenuti che, da soli, avrebbero dovuto garantirmi visibilità e quindi fatturato. Come abbiamo visto, potrei vedermi costretto ad attivare campagne pubblicitarie a pagamento sui social o su BigG, oppure investire molto più tempo ed energie per superare la concorrenza in termini di qualità e appeal del contenuto.
In ogni caso, il costo di produzione aumenta, e quindi la strategia in sé diventa meno conveniente. Risultato? Vince chi ha più soldi in partenza oppure si è già posizionato per primo su Google e sugli altri canali che tirano di più oggigiorno.
E tutti gli altri? Si attaccano.
Quindi, dobbiamo smettere di fare contenuti?
Sarebbe un peccato. Non solo perché la rete, con tutta questa ricchezza di informazioni, è sicuramente un posto migliore, ma anche perché mettersi lì a confezionare contenuti come piccoli artigiani digitali aiuta molto gli autori stessi.
Pubblicare qualcosa di sensato richiede studio, metodo e approfondimento continuo. Chi deve parlare davanti a una telecamera, per fare un esempio, non può certo affidarsi all’improvvisazione: deve documentarsi, colmare le lacune, sintetizzare gli argomenti, essere sicuro di ciò di cui sta parlando, e via di questo passo. Insomma, spiegare e condividere qualcosa con gli altri è un ottimo esercizio per affinare e consolidare le proprie conoscenze e le proprie professionalità.
Il punto è: può bastare questo per andare avanti?
Che cosa si può fare
Va detto innanzitutto che la situazione non è certo uguale per tutti. Ci sono dei settori sicuramente sovraffollati e molto ghiotti, come il food, la moda e il fitness, per esempio, e magari ci sono ancora delle nicchie deserte come praterie in attesa di qualche “pioniere”. La tendenza, comunque, è chiara. Prima o poi i pesci grandi divoreranno i pesci più piccoli e, stando così le cose, bisogna inventarsi qualcosa al più presto.
La prima alternativa, secondo me, è quella di seguire l’esempio di Riccardo Scandellari. Lo spiega benissimo nel suo post, molto meglio di come potrei fare io, e quindi ti invito a darci un’occhiata.
La seconda alternativa è insistere sulla strada del content marketing, con la forza bruta, nella speranza che gli altri si arrendano prima di noi, nella speranza che io riesca, in qualche modo, a strappare la mia nicchia di pubblico adorante.
La terza è pregare che arrivi una nuova piattaforma iper-democratica che spazzi via i giganti e restituisca un po’ di spazio, molto spazio, a chi non abbastanza risorse per tenere il passo.
La quarta via, la più sfigata di tutte, è quella che io chiamo il contenuto ZEN.
Passare al lato oscuro (o luminoso) dello “zen” significa, in breve, rinunciare ai contenuti come strumento di marketing e promozione, e continuare ugualmente a produrli con un approccio radicalmente diverso. Lo faccio, innanzitutto, per il gusto di farlo. Lo faccio perché spinto dalla passione che mi consuma per determinati argomenti e dal desiderio di farli conoscere al mondo intero. Lo faccio, SOPRATTUTTO, senza aspettarmi nulla in cambio. Senza aspettarmi click, like, cuoricini, applausi o pacche sulle spalle. Senza cercare a tutti i costi popolarità o ritorni economici.
È un percorso tutto in salita, che richiede umiltà e sacrificio.
In questo paradigma, sono chiamato a riflettere per davvero su quello che posso donare agli altri e su come posso aiutarli in modo autentico e disinteressato, senza secondi fini. Devi immaginare che il tuo sito o i tuoi canali di comunicazione siano come un giardino. Se non vuoi che vada in malora, se non vuoi che le piante marciscano una dopo l’altra, te ne devi prendere cura ogni giorno, in modo attento e paziente, piantando dei nuovi semi o tagliando i rami secchi quando ce n’è bisogno.
È vero, c’è il rischio concreto che possa diventare un’operazione fine a sé stessa, nient’altro che un piacevole passatempo. Ma se ci tieni davvero, se ritieni dal profondo di te stesso/a che quello che stai facendo è importante, ne varrà comunque la pena. Promesso.
E a me, cosa importa?
Se questo discorso ti sembra ristretto ai soli addetti ai lavori, un problema che dovranno smazzarsi soltanto blogger e youtuber, posso dirti che non è così. In questo modello economico dove mi gioco tutto nel catturare l’attenzione di qualcuno, dove un professionista preparato deve competere con una cheerleader che sculetta su TikTok, in un futuro non molto lontano soltanto pochissime aziende riusciranno a non essere minimamente scalfite da questa battaglia.
In altre parole, se la gente non ha tempo di guardare le mie pubblicità, nessuno acquisterà più i miei prodotti e i miei servizi. Le aziende chiudono e i lavori spariscono. Anche perché abbiamo sempre considerato il tempo delle persone come una risorsa inesauribile, a cui tutti possono attingere indiscriminatamente per uno scopo o per l’altro. Ma anche a questo c’è un limite.
Se il content marketing muore, potrebbe voler dire che non avremo davvero più tempo per niente.
Nella sostanza l’articolo mi è piaciuto e offre alcuni spunti interessanti. La questione era già nota da tempo (l’articolo di Schaefer è di 5-6 anni fa), ma gli effetti li vediamo appunto in questi giorni. La chiusa è meravigliosa.
Grazie Alessandro 🙂